Tuttavia, in piena contraddizione, lo farò lo stesso questo esercizio paradossale, immaginando ci possa essere distinzione. Tanto per cercare di chiarire, prima di tutto a me stesso, un po’ di faccende bizzarre.
Per ignoranza in materia mi/ci risparmierò la valutazione filosofica di questi concetti-simbolo, se no ci passiamo dei giorni e ci incartiamo. Facciamo finta possano significare quel che, mediamente genericamente e in puro stile nazionalpopolare qui-ora-italia-2015, ci si associa: Corpo Mente Anima.
Nell’ “io-sento” è compreso che l’evoluzione (sempre in accezione nazionalpopolare) dell’anima è preclusa senza il contributo del veicolo corpo-mente. Banalmente… senza scafandro, respiratore, coraggio e curiosità di farlo mica si può sperimentare la conoscenza del fondo marino, no?
Nell’ “io-sento” non c’è significato a far esistere il complesso corpo-mente senza anelito, senza anima! Seppure tante troppe persone ci trovino un comodo limite-sistema-di-vivere (o sopravvivere?). Ma va bene così. Siamo qui per sperimentare la libertà. Anche di limitare l’illimitabile e trascurare la coscienza di esistere.
Ma cosa succederebbe se corpo-anima interagissero senza il tramite della mente? O meglio, se nella sperimentazione del qui-ora venisse un momento in cui la mente, indispensabile strumento di analisi e di sopravvivenza sul pianeta, diventasse un ostacolo all’evoluzione?
Perché è proprio in questa situazione che mi ha condotto la pratica dello yoga.
Il corpo è mio, dice la mente. La mente è mia, “sente” il corpo. E tutti e due insieme sperimentano l’unità psicofisica.
Ma quest’unità psicofisica di corpo e questa mente si disgregheranno, è già successo mille volte nei precedenti passaggi, con altri miei (?) corpi ed altre mie (?) menti; sì, io son convinto che ne resterà memoria indelebile, ma questo adorato utilissimo quasiperfetto scafandro andrà perso! Non mi spaventa pensarci, ma non è neanche che mi esalti l’idea di scomparire.
L’unica risorsa per non impazzire, per come la penso io, è l’addestramento a “morire da vivi”. Ovvero: invece che subire il disgregamento standard nella speranza di un lieto fine (?!) allenarsi a sbirciare dietro al sipario del “prima-dopo-eterno presente”, fino a gestire la disgregazione. Pazzesco? Mah, io credo invece che sia possibile. Occorre trovare la palestra giusta dove allenarsi e da Chi farsi allenare, un Istruttore che abbia già percorso, pure a ritroso, questo cammino e conosca didattica e meccanismo dell’Insegnamento.
Il presupposto è che l’anima NON è mia. Il “mia” muore, sparisce, fa parte del disgregamento. E’, e basta. Quando la mente diventa fardello e zavorra, quando corpo e anima interagiscono senza il tramite della mente si crea un cortocircuito. Ovvero si muore da vivi.
Muore la cultura... Rimane la conoscenza.
Credo sia questo il centro del discorso. E dello YOGA.
Ma io “… non ci credo nella tri-cotomia corpo-mente-anima. E’ tutto appiccicato inscindibile incastrato. Costruire confinamenti di chiacchiere al proposito è solo un esercizio mentale, il tentativo di impacchettare in una gabbia logico-sensoriale limitata un “qualcosa” che è troppo ampio e fuori campo per essere incasellato….”



Un abbraccio
S.